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Oratorio Colombini


Secondo il Dondi dell'Orologio, il nome dell'oratorio deriverebbe dalla chiesa della Beata vergine del Pianto detta dei colombini, fatta edificare da S. Antonio, nella quale si riuniva un gruppo di penitenti, da lui convertiti ed istruiti al tempo della sua prima venuta a Padova


Palazzo Papafava

Palazzo Papafava, via Marsala 59
Oratorio dei Colombini, via Papafava n. 6
Visita su richiesta, telefono: 049/661049

ORATORIO DEI COLOMBINI
Secondo il Dondi dell’Orologio, il nome dell’oratorio deriverebbe dalla chiesa della Beata vergine del Pianto detta dei colombini, fatta edificare da S. Antonio, nella quale si riuniva un gruppo di penitenti, da lui convertiti ed istruiti al tempo della sua prima venuta a Padova (1227), i quali si erano costituiti in fraglia. Nel 1363 qui fu fondata da Antonio da Perugina la compagnia dei Battuti della morte. L’oratorio sarebbe stato consacrato nel 1453 ad opera di Fantin Dandolo, priore dell’ospedale S. Giovanni Evangelista dalla Colomba. Fu ampliato nel 1686, nel 1795; nel 1817 il capitolo esistente sopra la chiesa e i chiostri furono distrutti. Pervenne ai Papafava nel 1810, in seguito all’acquisto fatto da Francesco ed Alessandro da demanio. Durante la prima guerra mondiale in quest’oratorio Padre Semeria officiava per la missione francese che alloggiava nel Palazzo Papafava.

colombinigFacciata: semplice con un timpano triangolare presenta un portale settecentesco in cui è inserita una statuina di S. Antonio, forse opera del Bonazza.
Interno: un’unica semplice navata preceduta da un vestibolo delimitato da due colonne ioniche; divisa verso la metà da una chiudenda, ha il soffitto a volta ribassata. A sinistra si apre la porta della sacrestia e più avanti quella di accesso al giardino  Jappelliano del Palazzo Papafava. In questo si trova il pozzo nel quale, secondo la leggenda, sarebbe caduto il breviario di S. Antonio, riportatogli asciutto dagli angeli. Sulla parete di sinistra in alto, due lapidi commemorative, una dedicata ad Antonio Zancarli, l’altra (del 1707) a Fantin Dandolo. Al di sotto si trova un’altra lapide, del 1670, in marmo rosso di Verona, con uno stemma centrale, dedicata al teologo Giovanni Cossalli. Altre lapidi ai lati sono dedicate ancora a Dandolo e a Domenico Frisardo (del 1670) che aveva fatto ampliare l’oratorio. Sulla chiudenda un affresco settecentesco rappresenta la Gloria del Santo, riferimento a S. Antonio che secondo la tradizione avrebbe celebrato e predicato qui, prima che venisse edificato il convento di S. Mater Domini. Questi eventi sono ricordati dall’iscrizione nel cartiglio, sotto la quale un’altra iscrizione ricorda il punto dove un tempo terminava l’oratorio. Sulla parete settentrionale vi è una Madonna su tavola a fondo oro di tipo bizantino.
Nel Vestibolo: altra serie di lapidi dedicate a vari personaggi del tempo, al medico e filosofo Lorenzo Viero, dal giureconsulto Alvise Corradino Stella alla madre Livia (1601), da Giacomo Papafava al Conte Daniele Antonimi (1735).
Presbiterio: oltrepassata la chiudenda, sulla parete di sinistra sono collocate in due lunette due tele con i Miracoli di S. Antonio: predica ai pesci e risanamento di una donna ferita dal marito geloso, interessanti opere di Domenico Zanella del XVIII sec. (si notino le firme dell’autore; una sul libro che tiene in mano il santo, l’altra sul collare del cane). Sulla parete di fondo l’altare il cui paliotto (attribuito ad Antonio Bonazza) in marmo di Carrara è ornato con bassorilievo raffigurante la Madonna con il bimbo che appare a s. Antonio. Sulla parete di destra nelle lunette altre tele raffiguranti il Miracolo del giovane resuscitato perché testimoni a favore del padre accusato di omicidio (di Domenico Zanella), e il Miracolo dell’infante resuscitato perché testimoni a favore della madre accusata di adulterio (di Francesco Mengardi XVIII sec.).


PALAZZO PAPAFAVA
papafavagPalazzo Papafava dei Carraresi fu eretto per volontà del conte Gian Battista Trento tra il 1750 ed il 1763. Nel progetto intervenne, l’architetto Giambattista Novello che poté sperimentare nella propria città natale la qualità e l’esperienza assorbite durante i lunghi anni trascorsi presso la corte di Spagna, dove aveva operato come architetto nel rifacimento del Palazzo Reale di Madrid. Il suo gusto ancora in parte barocco, resta testimonianza nell’ornamentazione dello scalone e del salone, affrescato da Francesco Zugno (1709-1787), allievo del Tiepolo.
L’ala del Palazzo a fianco del Salone si deve invece all’opera d ei success ivi acquirenti: Alessandro Papafava, insieme col fratello Francesco. Faustina, prozia di Alessandro Papafava e vedova di Decio Trento offrì in vendita il Palazzo Trento ai Papafava; che lo acquistarono nel 1805. Fu parzialmente restaurato tra il 1807 e il 1809, sotto la guida dello stesso Alessandro che durante i suoi studi a Roma aveva approfondito i principi dell’architettura, frequentando gli studi degli architetti Camporesi e Balestra, nonché osservando minuziosamente i monumenti della città. Per la scultura la sua ammirazione va al Canova che si occupò anche della decorazione dell’appartamento neoclassico.

Facciata principale: lo zoccolo di base è a bugnato liscio di lastre di pietra tenera; il piano nobile in corrispondenza del salone ha colonne corinzie dello stesso materiale. Questo motivo ricorre anche nelle ali (quella di sinistra è incompleta) e nel cortile; in entrambi però le lesene sostituiscono le colonne. Ai lati dell’estradosso dell’arco del finestrone centrale sono collocati due amorini; le altre finestre hanno timpani triangolari e curvi. Un cartiglio al centro del cornicione porta la data di costruzione: MDCCLXII.
L’atrio: è grandioso con caratteri neoclassici: il soffitto è architravato con grandi lacunari, sorretto da grosse colonne tuscaniche. Di particolare interesse sono le porte con alto architrave e le figure di divinità pagane (fiumi, satiri, etc.) sui timpani.
Scalone: grandioso a due rampe con balaustra decorata da piccole sculture a motivi floreali e figurativi, di autore anonimo del XVIII secolo; alle pareti finestre dipinte e reali; sul soffitto, un affresco di Francesco Zugno (sec. XVIII) raffigurante Il Mattino.
Salone: di grandiose proporzioni, ma forse eccessivamente alto, presenta delle finestre cieche affrescate anche con elementi figurativi.
Il soffitto è affrescato con la rappresentazione delle Stagioni di Francesco Zugno.
In questa stanza sono raccolti alcuni gessi del Canova e, a ridosso della parete orientale, il gruppo di sessanta figure della Caduta degli angeli di Fasolato, un’opera di grande virtuosismo tecnico, commissionata da un Trento, balì di Malta.
Dietro il gruppo del Fasolato, un dipinto su pietra raffigurante il Battesimo della Figlia del Podestà di Milano, opera di Leandro Bassano (XVI sec.); di questo è interessante il supporto marmoreo del sec. XVIII con due figure femminili allegoriche e la cornice lignea a colonnine di marmo verde e capitelli in bronzo del sec. XVI.
Nel vano della scala che collega l’adiacente appartamento ad est si trova la grande tela della Peste del 1630, opera eseguita da Luca Ferrari da Reggio su commissione di Lionello Papafava, nel 1635. Originariamente si trovava nella chiesa di S. Agostino.
Appartamento neoclassico: comprende in una sala rettangolare, un grande salotto a forma di emiciclo, una saletta, una stanza da letto, un piccolo bagno, e una sala semicircolare.
Sala rettangolare: decorata con cinque grandi altorilievi alle pareti illustranti episodi dell’Odissea, opera degli artisti Zandomeneghi, L. Ferrari, e Rinaldo Rinaldi.
Grande salotto o sala dell’Iliade: sulla parete curva, due affreschi giovanili di Giovanni Demin rappresentanti due scene dell’Iliade: a sinistra Elena che incita Paride a più virili imprese e a destra Diomede costretto dai fulmini di Giove a lasciare la Battaglia.
Completano l’arredamento un bellissimo camino, un’alta specchiera, finissimi stucchi dello svizzero Negri, mobili e soprammobili creati per l’occasione.
Saletta rettangolare: detta del Canova, perché ospitava un’opera dello scultore e una pregevole copia del ritratto eseguito per lui dal Reynolds, (ora nella villa Papafava a Fressenelle). Il soffitto, a volta con cassettoncini, contiene affreschi a soggetto mitologicoed agreste eseguiti dal Demin.
Stanza da Letto: a pianta semicircolare, è divisa in due porzioni da alte colonne. Tra queste, dei pennoni in mogano sorreggono una tenda ricadente a drappeggio, che cela l’alcova limitata dalla parete semicircolare dipinta a panneggi. Sopra le porte vi sono tre chiaroscuri del Demin illustranti Le gioie della famiglia: matrimonio, nascita, lavoro; altri chiaroscuri del Demin sono nell’alcova e rappresentano Il giorno e la notte.
Annessa alla stanza da letto è una saletta da bagno circolare coperta a cupoletta e impreziosita con finissime decorazioni monocrome del Demin.
In un’altra saletta, semicircolare, sono appesi alle pareti alcuni dipinti del sec. XIX.
Appartamento settecentesco: raccoglie dipinti di Marconi, Giordano, Padovanino etc. Nell’appartamento al mezzanino la Biblioteca e altri locali, con alcuni dipinti tra i quali, la Sacra conversazione di Palma il Vecchio, Madonna e Bimbo e Santi del Campagnola, predicazione di S. Paolo di Jacopo Bassano.
Un altro appartamento neoclassico: la sala da pranzo è decorata con quattro scene mitologiche del Demin; nel soffitto medaglioni dipinti con Apollo e le Ore, le Grazie e le Divinità dell’Olimpo. Nell’archivio della famiglia si conservano documenti del XI sec. e cronache del XVI.
Il giardino: fu progettato da Jappelli, che mediante movimenti del terreno, seppe illustrare illusioni prospettiche e naturalistiche di derivazione inglese. Tra gli alberi secolari vi è un grande platano e uno stupendo esemplare di cedro del Libano. Nel giardino si trova una colonna romana rinvenuta durante gli scavi per la costruzione del Pedrocchi.
Nel cortile occidentale: notevoli due lapidi affiancate con lo stemma dei Carraresi l’una e l’altra con il corno dogale. Nel passaggio tra il citato cortile e quello di levante, un frammento di sarcofago romano, con un cavaliere che caccia il cinghiale e una lapide in pietra tenera proveniente dal convento di S. Agata, con lo stemma dei Carraresi.

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