Storia della città

pratovalleIl medioevo – sviluppi architettonici e civili

Con la fine delle incursioni ungare, la ripresa degli scambi e della circolazione monetaria determinò radicali mutamenti nella vita sociale e politica. La crescita demografica, agricola e commerciale dei secoli XI e XII va a beneficio soprattutto delle città che sono le maggiori sedi vescovili (Verona, Padova, Vicenza, Treviso). Le istituzioni comunali, invece, nacquero dalla convergenza fra la feudalità minore della città e del contado con i nuovi ceti mercantili.
Usurpando poteri e diritti dei vescovi e dei conti, i Comuni pretesero la sottomissione del contado. Federico I, sceso in Italia cinque volte tra il 1154 e il 1177, tentò di restaurare le prerogative regie. Padova, Vicenza e Treviso aderirono alla “lega di Verona”, confluita poi in quella lombarda.
Accanto alle città, furono protagonisti delle vicende del periodo 1230-60 alcuni dinamici rappresentanti dell’aristocrazia feudale, che si erano trasferiti in città conservando il controllo dei possessi del contado, da cui derivano il nome: i da Romano, i da Camino, i da Carrara, i d’Este.

(fonte: www.vene.to.it)

Accanto al sorgere del potere civile, permane forte quello vescovile che nel 1079, con la concessione da parte dell’imperatore Enrico IV della proprietà decimale della città, diviene anzi fulcro di sviluppo per i due successivi secoli, marcati dall’espandersi della struttura ecclesiastica che nel 1178 conta già sedici parrocchie. L’incendio urbano di quattro anni prima aveva distrutto ben 2614 costruzioni, evidentemente lignee, mentre il terremoto del 1117 doveva aver toccato gli edifici in muratura più importanti. Le conseguenze dello sviluppo urbano si avvertono comunque anche nella struttura politica: alla fine dell’XI secolo è di fatto operante il Comune padovano che privilegia i commerci avviando i mercati accanto e assieme alle sedi comunali ed iniziando (1195) lungo i percorsi fluviali la costruzione della prima cinta muraria.
Questa cinta non faceva che racchiudere una realtà urbana in forte espansione, demografica, economica e culturale: spie della situazione sono da un lato la fondazione dello Studio nel 1222, nato da una scissione dall’Università di Bologna; dall’altro l’installarsi di conventi attorno alla città: dai Benedettini ai Domenicani, dagli Eremitani ai Francescani che nel 1232, nell’area meridionale della città, fondano la Basilica di Sant’Antonio destinata a divenire fulcro urbanistico accanto al Prato della Valle, l’area destinata alle fiere.
In questa fase anche i mercati centrali vengono sistemati con la fondazione del Palazzo della Ragione, sede dei tribunali e degli uffici comunali, ma anche grande mercato coperto: il tutto mentre procede la costruzione della cinta urbana via via allargata ai nuovi borghi che sorgono.
La presa di Padova da parte del vicario imperiale Ezzelino da Romano (1237-56) vedrà la continuazione delle opere di difesa culminate nella costruzione del castello (1242). Con la caduta di Ezzelino, il Comune padovano riprende il proprio ruolo centrale nel territorio mentre si va affermando la nuova forma del potere signorile.
La conformazione urbana va assestandosi e dopo l’avvio della dominazione carrarese, principiata con Giacomo I nel 1318, spetterà proprio ai da Carrara racchiudere la città con la prima completa cinta, realizzata nel 1337.
È la città che, dopo Giotto e Giovanni Pisano, vede attivi al suo interno Guariento, Giusto de’ Menabuoi, Altichiero e Avanzo; è la città dove Francesco il Vecchio ospita Petrarca; è la città dove si forma l’ambiente culturale preumanistico dal quale scaturirà la stagione rinascimentale.

(fonte: www.videocity.it)

Dominazione Veneziana (1400-1500)

La signoria carrarese, alla quale si devono la completa ristrutturazione della reggia e molti altri interventi architettonici ed urbanistici, dura fino al 1405, allorché inizia il lungo periodo della dominazione veneziana destinato a chiudersi solamente con Napoleone alla fine del Settecento.
Il 30 gennaio 1406 una bolla d’oro sancisce definitivamente il passaggio di Padova alla Repubblica di Venezia che accoglie sostanzialmente la situazione socio-politica della città fissata successivamente negli statuti del 1420, e riformati nel 1430.
Di fatto, il XV secolo vede un fase di ripresa economica che favorisce da un lato lo sviluppo urbano, anche nel senso di un’edilizia più monumentale che rispetta il preesistente tessuto adeguandosi in particolare alla struttura porticata (in questo simile a Bologna); dall’altro permette l’apertura ad esperienze artistiche e culturali diverse, in particolare quelle toscane. Fin dalla prima metà del Quattrocento a Padova sono attive maestranze toscane e con maggior frequenza, allorché nel 1434 in città si rifugia, esule da Firenze, Palla Strozzi. Vi giungono così anche Paolo Uccello, Filippo Lippi, Donatello; accanto a loro opera Pietro Lombardo, cui spetta l’avvio della stagione rinascimentale nell’architettura, fino ad allora marcata dal gusto gotico veneziano. La lezione toscana è fondamentale per il formarsi della scuola pittorica padovana (Pizzolo e Mantegna); mentre dall’atelier di Donatello scaturisce la scuola dei bronzettisti padovani (B. Beflano, A. Briosco).

Il carattere classicistico, financo archeologico, del Rinascimento padovano perdura nel Cinquecento allorché la città, fermo restando l’impianto trecentesco, rinnova alcuni episodi architettonici: prima Lorenzo da Bologna (San Giovanni da Verdara, Palazzo Vescovile), e poi il Falconetto (Loggia e Odeo Cornaro) e Andrea Moroni (Università, Palazzo Comunale) sono i cardini di questa cultura che in pittura prende l’avvio con la presenza in città nel 1510 di Tiziano Vecellio: da lui si avvia la scuola padovana di Gualtieri, Stefano dall’Arzere e Campagnola che costituirà forse l’ultima vera coerente compagine artistica cittadina.

La crisi di Cambrai agli inizi del Cinquecento, minacciando l’integrità della stessa Repubblica, aveva nel frattempo avviato quel processo che avrebbe definitivamente siglato la forma urbana di Padova: entro il 1544, infatti, Fra’ Giocondo, il Sanmicheli e il Falconetto realizzano la cinta bastionata rimasta integra fino al XIX secolo. Al suo interno, in un contesto sociale e politico sempre più controllato dalla nobiltà veneziana che investe in proprietà immobiliari, la forma urbana non muta, lasciando invece spazio a trasformazioni architettoniche di cui la creazione del Ghetto (1601) è l’aspetto più macroscopico.

(fonte: www.videocity.it)

Manierismo (1520-1600)

Tale denominazione viene applicata all’arte fiorita nel periodo intercorrente tra il pieno Rinascimento ed il primo affacciarsi delle concezioni barocche, ossia, all’incirca, dal 1520 al 1600.
Nel suo primo stadio, il Manierismo rivelò una certa opposizione – in nome d’una fantasia intellettualistica – ai canoni classici della proporzione, della simmetria e della prospettiva implicite nell’arte rinascimentale matura.
Nella seconda metà del Cinquecento, andò invece accentuando il proprio carattere celebrale e, insieme, esaltò dei valori decorativi che gli assicurarono il favore delle corti.
Tra i maggiori manieristi vanno ricordati il Rosso, il Primaticcio, il Pontormo, il Parmigianino, Giulio Romano, Jacopo Sansovino, Benvenuto Cellini, Giorgio Vasari, il Tintoretto, El Greco, ma colui la cui ideale azione ne costituì lo stimolo e il punto di partenza, sebbene ne trascendesse i limiti e rappresentasse lo stimolo dell’estremo Rinascimento dapprima e quindi la crisi di coscienza scaturita al Concilio di Trento, fu il grande Michelangelo.

(fonte: www.giroscopio.com/enciclopedica/manierismo.html)

Il termine viene assunto dalla critica per designare il complesso e diramato movimento stilistico italiano ed europeo che si colloca tra il 1520 ca e l’ultimo decennio del sec. XVI (ossia tra il culmine del Rinascimento e il preannuncio del barocco); caratterizzato tra l’altro da un estetismo antinaturalistico lontano dalla razionalità rinascimentale, si espresse in suggestive alterazioni dei rapporti spaziali e subordinò le proporzioni naturali della figura umana al ritmo fluido ed elegante della composizione.
La denominazione deriva dal termine “maniera”, usato da Giorgio Vasari sia come semplice sinonimo di stile, sia per indicare il modo di comporre dei massimi artisti rinascimentali. La critica secentesca e segnatamente Giovanni Pietro Bellori diede invece al termine “maniera”, con riferimento allo stile dei pittori vissuti dopo Leonardo, Raffaello e Michelangelo, un significato negativo, accusandoli di inerzia creativa, di artificiosità e di virtuosismo tecnico non sostenuto dall’ispirazione.
La rivalutazione critica del barocco, sul finire del sec. XIX, diede l’avvio a un riesame dello stile manieristico da un nuovo angolo visuale. La definizione terminologica e concettuale di manierismo è però merito della storiografia tedesca del primo Novecento (Hermann Voss , M. Dvoräák) che, mettendo in luce gli aspetti eterodossi e inquietanti dell’arte del tardo Cinquecento, ne esaltò la vitalità, in netta antitesi con la critica precedente che aveva percepito quegli stessi aspetti come risultato di uno svuotamento e di una degenerazione del classicismo.
Definito da Friedländer (1925) “stile anticlassico”, il manierismo va inteso più convenientemente come incrinatura dell’equilibrio armonico classicista, e più in generale come crisi della cultura umanistica e dei suoi ideali razionalistici, in connessione con il travaglio storico della riforma e controriforma e con gli squilibri economico-politici che precedettero la formazione dei grandi Stati europei.
L’individuazione dei germi del manierismo nell’opera dei grandi maestri del primo Cinquecento è, in quest’ambito, tra i dati più interessanti: il vestibolo della Biblioteca laurenziana di Firenze, nel quale Michelangelo infranse le regole euritmiche della proporzione spaziale, e gli affreschi di Raffaello nella stanza dell’Incendio di Borgo in Vaticano, il cui impianto clamorosamente scenografico rompe l’equilibrio prospettico in chiave illusionistica e drammatica, si pongono come veri “incunaboli” dell’arte manierista.

Il Barocco a Padova (1600-1700)

L’attenzione che gli studiosi hanno dato prevalentemente all’aspetto medioevale o rinascimentale di Padova ha purtroppo trascurato alcune interessantissime opere d’arte della città, appartenenti a periodi meno rappresentativi.
Un esempio è proprio il periodo barocco, che prende forma in Italia nel XVII- XVIII secolo.
Nel Seicento, Padova si adagiò nella tranquilla routine di un lungo periodo di pace, caratterizzato da un’evidente decadenza economica e sociale.
Gli interventi urbanistici più importanti furono la costruzione di tre alberghi, la costruzione del primo teatro stabile e la realizzazione del ghetto per la comunità israelitica.
Le chiese ed i palazzi risalenti al Sei-Settecento sono ristrutturazioni o ampliamenti di costruzioni precedenti.
Un percorso ideale non può prescindere dall’ampia sezione al Museo Civico dedicata al periodo “Dal Padovanino al Tiepolo”. Aprono la mostra tele di artisti padovani e veneti: Damini, Varotari, Vecchia. Numerosi poi gli esempi dei cosiddetti “tenebrosi”, e della committenza “di genere” (paesaggi, battaglie, nature morte). Infine lo splendore del Settecento: Diziani, Ricci, Piazzetta, Giambattista e Giandomenico Tiepolo, Guardi, e molti altri.

 

 

Neoclassicismo
Il Neoclassicismo fu una tendenza che sorse nella seconda metà del ‘700 nell’ambito delle arti figurative, in seguito all’entusiasmo seguito agli scavi di Pompei e di Ercolano, un entusiasmo che si manifestò pienamente nell’età napoleonica e che dalle arti figurative si estese anche al campo letterario. Presto si diffusero ovunque stampe riproducenti monumenti, sculture e pitture ritrovati negli scavi e con esse si diffuse il gusto per l’antichità e l’amore per la bellezza concepita classicamente come armonia e proporzione.
Il Neoclassicismo fu caratterizzato da un gusto, da uno stile e da tematiche che si ispiravano ai modelli classici dell’arte greca e romana, di cui volle imitare i caratteri: l’equilibrio, la semplicità, il rispetto delle proporzioni e l’armonia. Patria ideale fu l’Ellade, la terra del sogno a cui approdare per evadere da una realtà spesso deludente. La mitologia fu strumento di questa evasione.
L’estetica neoclassica fu formulata dallo studioso tedesco Winckelmann nella “Storia delle arti presso gli antichi”, nella quale analizzò con metodo scientifico i monumenti dell’antichità classica. In essa egli esaltava l’antica Grecia, in cui l’armonia delle forme era frutto del dominio delle passioni. L’arte del mondo classico doveva essere riscoperta nella sua purezza ed autenticità, purificata dalle deformazioni che aveva subito dal classicismo rinascimentale e doveva diventare un nuovo ideale di perfezione artistica.

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