Carmen – Recensione

31 Marzo 2016

Da mercoledì 30 marzo a domenica 3 aprile va in scena al Teatro Verdi la “Carmen”, rivisitazione della novella di Merimée ambientata nella Napoli dei quartieri spagnoli, dove la prostituzione regna e vige l’arte dell’arrangiarsi. Lo sfondo marino, che ha un sapore quasi pastoso, lascia lo spazio al suono dello sciabordio delle onde prodotto dall’Orchestra di Piazza Vittorio che esegue musica dal vivo nel sottopalco. I musicisti, vestiti da soldati e da figure della storia, irrompono in scena ed ecco che s’ambienta la trama, dove la Carmen del drammaturgo Enzo Moscato in realtà non è morta, ma solamente accecata. La sensuale Iaia Forte, vero e proprio corpo desiderabile, finalmente può parlare in prima persona e raccontarsi: lo spettacolo si articola in veri e propri flashback, che alternano un presente buio e desolato alla gloriosa carriera da puttana del passato prima che Cosè, soldato semplice dalla parlata veneta, fosse reso folle dalla gelosia. Le scenografie sembrano fatte di sughero e si aprono ricreando ambienti e suggestioni della Napoli di malaffare, dove negli angoli contrabbandieri e puttane si dividono il piacere. Il sottofondo musicale, sempre presente, alterna alla musica di Bizet altre canzonette di sapore popolare che rendono in maniera fantastica quella culla multiculturale che è Napoli, crocevia del Mediterraneo dove si sedimentano parlate diverse. Gli strumentisti si dividono tra palco e musica, fino alla finale festa nella torre di Piedigrotta dove, tra luminarie e statuette votive, si distribuiscono su più livelli per cantare alla vita. Carmen non è morta e si va avanti, anche se O’Torero, il matador che non mata i tori ma le donne, a cui nemmeno una prostituta riesce a resistere, viene ucciso da Cosè. A raccontare gli avvenimenti, tra una scena e l’altra, è quasi sempre Lilà Bastià, il taverniere, che rispetta negli intenti l’idea del regista Mario Martone che ha fatto suo un universo che sembra straordinariamente reale. Non si riesce più a immaginarsi la Carmen di Bizet, questa “puttana filosofa” che fa della libertà un vessillo la sentiamo napoletana, italiana. Nostra.

Camilla Bottin