La pace perpetua
18 Dicembre 2013Autore Juan Mayorga
scene Alessandro Chiti
costumi Sandra Cardini
disegno luci Gianni Staropoli
suono David Barittoni
movimenti Marco Angelilli
regia Jacopo Gassmann
con (in ordine alfabetico), Pippo Cangiano, Enzo Curcurù, Giampiero Judica, Davide Lorino, Danilo Nigrelli.
Note di regia
“Il teatro accade nel pubblico. Non nei ruoli ideati dall’autore. Nemmeno nella scena che occupano gli interpreti. Il teatro accade nell’immaginazione, nella memoria, nell’esperienza dello spettatore.” E’ da questa intuizione fondante e costitutiva del pensiero di Juan Mayorga che nasce la nostra estrema fascinazione per la sua opera. Affrontare un testo come la Pace Perpetua vuol dire operare costantemente in bilico fra la passione e il bisogno di trovare soluzioni espressive alle infinite domande che sottendono il testo e la consapevolezza che tutto ciò che verrà proposto in scena dovrà recare con sé una certa meticolosa, consapevole incompiutezza che potrà forse soltanto definirsi nel corto circuito fra palco e platea: rigenerandosi cioè come ulteriore domanda. Juan Mayorga è un autore classico e contemporaneo al contempo. I temi che fanno da spina dorsale al suo teatro riguardano senza dubbio le emergenze e le contraddizioni del nostro tempo ma solo in quanto queste possono offrirci una lente di ingrandimento e responsabilizzarci rispetto a tutto ciò che è già stato e a tutto ciò che resta da fare. Nel testo sono molti i riferimenti alla guerra, alla tortura, alla violenza dei nostri giorni (la violenza intesa come sopraffazione degli individui nei confronti di altri individui ma anche la violenza dei miti, delle idee, dei linguaggi che sovrappopolano il nostro quotidiano) ma volutamente non si prende nessuno di questi come esempio specifico e , di conseguenza, lo spazio scenico è piuttosto uno spazio pluripotenziale e interiore. È uno spazio e un tempo della scelta, di domande che ci si affollano nella testa, che latrano, che abbaiano, quasi, come quelle di moltitudini di uomini, i più deboli, gli oppressi, le persone costrette a vivere nel terrore, e i soldati, i militari o i ribelli-rivoluzionari ma, questa è la cosa interessante, anche ogni uomo è qui l’interlocutore di Mayorga. Il suo grande dono è quello di sapere offrire a tutti noi, senza mai volerci educare, delle possibili chiavi di lettura, dei possibili spunti di riflessione rispetto ai conflitti e ai paradossi che ci abitano e che ci dominano. Immanuel, John-John, Odìn e Casius, i cani protagonisti della nostra opera, sono tutti parte e parti di noi stessi. Sono cani parlanti e pensanti, come in una moderna allegoria Kafkiana, che però preservano il loro istinto, il loro fiuto e il loro cuore animale, e il cui silenzio spesso ci pone di fronte alla nostra impotenza (vergogna?) di non avere soluzioni di fronte alle nostre stesse contraddizioni, alla nostra “zona grigia” , come se qui l’animale potesse davvero essere l’anello di congiunzione fra l’uomo e l’aldilà del suo limite, del suo mistero. Quelli che ci porgono i protagonisti di questo spettacolo sono allora anche quesiti dei diversi momenti della vita cui ognuno risponde con la sua diversa maturità (come il Sigismondo Calderoniano de “La vita è sogno”): John John è il cane giovane e irruento; Odin è nell’èta della forte affermazione di sé e Immanuel in quella della piena maturità, così come Casius è vicino a un suo ritiro dal mondo. Le loro storie, le loro domande ci pongono dei conflitti della ragione, del sentimento, dell’istinto e dell’idealità e che, solo nel finale, nel momento della responsabilità collettiva, chiamano ciascuno dei protagonisti a compiere una scelta, forse indicibile, forse irrappresentabile ma soprattutto, ed è quel che conta, invitano ciascuno di noi ad assumere comunque un punto di vista critico. Perché, come sostiene Mayorga, solo “una cultura critica prepara un uomo a relazionarsi con gli altri, e non a dominare gli altri o a rassegnarsi al loro dominio.”
Jacopo Gassmann