La vedova allegra – La recensione

30 Dicembre 2014 By Elena Bottin

L’operetta di Franz Lehàr, messa in scena grazie a una coproduzione tra i comuni di Bassano, Padova e Rovigo, è firmata dalla squisita regia di Hugo de Ana, uno degli indiscussi maestri della regia lirica del nostro tempo. Il palcoscenico, rivestito di specchi con due parallelepipedi rotanti che si intersecano fino a creare corridoi sfarzosi e ad accennare impalcature dove cantanti e ballerini passano con garbo da una situazione all’altra, rivela un sostrato affascinante, che alterna a pendenze di fiori nel giardino di villa Glawari scritte luminose da Chez Maxim, che ricordano vagamente gli scenari alla Moulin Rouge. Questo insieme, piuttosto omogeneo, ricorda una chiara ambientazione anni ’20, con vestiti luccicanti e colorati, all’insegna dell’eleganza con brio: i motivetti, semplici e orecchiabili, uniti a danze movimentate, hanno annunciato, fin dal 1905, il successo dell’operetta. Protagonista indiscussa è la vedova Hanna Glawari, interpretata da Daniela Schillaci, che fa sfoggio di una voce calda ed è dotata di una grande presenza scenica. Il personaggio di Valencienne è stato affidato alla brava Daniela Mazzuccato, artista assai duttile e versatile che passa dal melodramma all’operetta: i suoi interventi maliziosi, a duetto con Camille de Rossillon ben interpretato da David Ferri Durà, costituiscono alcuni degli stacchetti più coinvolgenti e il mistero del ventaglio appassiona tutta l’ambasciata, fino all’ironia finale, con l’entrata in campo delle grisettes e il loro “ticche tacche, ticche ta” nel terzo atto. Nel Conte Danilo si è esibito il tenore Alessandro Safina, dalla bella voce e capace di grande compostezza scenica: Safina è conosciuto al grande pubblico per avere, negli ultimi anni, affiancato il ruolo di tenore al canto pop, incidendo album musicali e collaborando con grandi divi quali Elton John. Un plauso particolare va ai cammei eseguiti da Giovanna Donadini (Olga Kromow), Elisabetta Battaglia (Praskovia) e Annalisa Massarotto, (Sylviane) che hanno saputo dare, nei loro piccoli ruoli, dimostrazione di talento, riuscendo a far divertire il pubblico e al contempo divertendosi loro stesse nel fare parodie dei loro cavalli di battaglia, soprattutto con il riferimento allo “sciocco cavalier”. Da segnalare inoltre, in mezzo al nutrito cast, Nicolò Ceriani nei panni del Barone Mirko Zeta e l’attore, doppiatore e cantante Ugo Maria Morosi che interpreta Njegus, due personaggi indispensabili per i “tramacci” che tanto fanno sorridere il pubblico. L’opera, arricchita dal galop offenbachiano e dotata di dialoghi moderni, è l’ideale per passare una serata frizzante, guidata dalla mano sicura del direttore dell’Orchestra di Padova e del Veneto Giampaolo Bisanti e dalla preparazione efficace del coro a cura del Maestro Dino Zambello.

Camilla Bottin