Intervista ad Andrea Ragona
19 Maggio 2014Giorgio Morelli, storico capitano della nazionale di rugby e tallonatore della squadra abruzzese, nel commentare il passaggio dal dilettantismo al professionismo, invita i lettori, tramite la scrittura fresca di Andrea Ragona, autore di ‘Rugbyland. Viaggio nell’Italia del Rugby’, a «evitare di incentivare politiche che non seguano alla lettera i valori» di uno sport che ha fatto della solidarietà e dell’amicizia i suoi pilastri portanti: L’Aquila Rugby è come Ercole, il semidio figlio di Zeus, un eroe sfortunato, dotato di un’intensa forza morale, in grado di prodigarsi senza requie per i bisognosi. Nello «scatto d’orgoglio» che ha riavvicinato la città alla sua squadra in seguito al terremoto che ha devastato famiglie e edifici, ritroviamo lo spirito profondo del rugby che non è «voler fare del male» agli altri ma la contemplazione di una «stella danzante» originata dal caos, una mischia ordinata fatta di supporto l’un con l’altro, nel pieno rispetto del proprio ruolo, con lo scopo di «far arrivare il pallone oltre una linea segnata». «E’ uno sport per guerrieri – commenta Marco Bollesan, la personificazione del rugby genovese – non molli mai, piuttosto ti fai camminare sopra dagli avversari, ti fai infilare i tacchetti nella carne». Infatti, secondo Andrea Scannavacca, almeno per quando riguarda il legame forte che unisce Rovigo alla sua squadra, questo sport è sempre stato visto come «una tangibile possibilità di riscatto della gente umile e povera»: riscatto sì, ma dalla poltrona invece per i Torelli Sudati, squadra dell’autore. Loro giocano per passione, per cementare le amicizie nate sul campo, con il mitico terzo tempo ad aspettarli dopo la partita: facendo riferimento alle tradizioni che condivide con gli amici tifosi Andrea le definisce «meno internazionali» di quelle che si vedono al Sei Nazioni, ma non per questo meno importanti, non mancano «appuntamenti in vecchio stile» in osterie dai molteplici cicchetti. E’ casa. In questo suo viaggio per l’Italia del rugby, l’autore, coadiuvato nel suo intento divulgativo dalle tavole di Gabriele Gamberini, come un messaggero alato porta la buona novella ai lettori, trasmettendo le parole di questo o quell’altro rappresentante di un mondo che in Italia si è radicato in pochi centri ma con una forza e un’intensità di sentimenti inaudita. Con le parole di chi il rugby l’ha visto e soprattutto lo vive, Andrea Ragona arriva dritto al cuore dei giovani da flanker qual è: grazie all’esperienza all’interno del suo ruolo che prevede che sia uno dei primi a doversi staccare dal pacchetto di mischia, mescolando in sé doti di placcaggio e velocità, la sua azione letteraria è efficace.
Come è nata l’idea di conoscere, tramite interviste ai suoi rappresentanti più autorevoli, i fermenti che animano e hanno animato il rugby italiano? E’ un progetto che hai concepito da solo o sei stato indirizzato da qualcuno?
Il progetto di Rugbyland nasce dopo aver realizzato un libro simile, Yugoland, che parlava di Balcani. La struttura era semplice, parlare di ex Jugoslavia non in maniera pesante, ma attravero un viaggio dove si incontrano delle persone più o meno famose che saranno loro a raccontare quei luoghi. Il libro è andato bene, così abbiamo pensato di raccontare il rugby italiano allo stesso modo, visto che il rugby era una mia grande passione.
Come sono state ideate le tavole di fumetti? Che tipo di sinergia si è creata tra te e Gabriele Gamberini, autore dei disegni?
Becco Giallo è una casa editrice che fa prevalentemente fumetti, per cui anche se il mio è un libro prevalentemente scritto abbiamo pensato di affiancare la parte scritta a delle parti disegnate. Di solito io scelgo il soggetto e con Gabriele rivediamo la sceneggiatura.
Becco Giallo privilegia libri di impegno civile, per cui quali sono le caratteristiche che fanno rientrare il rugby in una sorta di ‘manifesto dei buoni valori’?
Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare del rugby come sport corretto e dai grandi valori. In gran parte lo è (ma non è privo parentesi negative) pe cui abbiamo voluto raccontare una parte d’Italia che è esempio proprio perchè porta avanti dei valori tipici del rugby, come la solidarietà e il sostegno. Il capitolo più forte in questo senso è probabilmente il capitolo su L’Aquila dove si racconta il rapporto fra rugby e terremoto.
Quanto tempo ci hai messo a completare il tour e a realizzare un insieme organico di interviste e impressioni?
Fra il concepimento del libro e la sua stesura è passato circa un anno, dove i primi mesi sono serviti soprattutto per costruirlo mentalmente e i secondi per affrontare la parte più operativa: viaggio e scrittura.
Quali sono stati i commenti dei tuoi compagni di squadra, i Torelli Sudati, nel vedersi citati in ‘Rugbyland’? Come trascorrete solitamente il terzo tempo?
Non ci sono state particolari reazioni da parte dei compagni di squadra rispetto al libro, ma la cosa che mi premeva di più era raccontare l’esperienza dei Torelli Sudati, come di tante altre squadre che praticano un rugby di base con lo scopo non tanto di vincere, quanto quello di portare nuova gente a conoscere questo sport. Che poi, come dici tu si conclude col terzo tempo. Una pasta, un paio di birre e comincia il vero divertimento.
Camilla Bottin