
Intervista a Vincenzo Monfrecola
5 Marzo 2014Per i due cugini Billingwest, il timido e impacciato Cyril, critico letterario, e lo spavaldo George, contestatore di «prugne», così come chiama le donne, protagonisti del romanzo “La stagione degli scapoli” (Gargoyle 2014) «innamorarsi è più pericoloso» che fare un giro su una Reo, una macchina in voga a inizio Novecento: il primo ha la cotta facile e non esiterebbe a sposare qualsiasi dolce fanciulla dotata di fossette che gli si pari davanti ma, reduce da una delusione amorosa, dopo che la promessa sposa è fuggita con i regali di nozze alla vigilia del matrimonio, scrive un libro dal forte sapore misogino, dando il via a un iter di “salvezza” che porterà alla costituzione dello Scapolificio, un sindacato che tutela gli uomini scapoli dagli assalti indesiderati di donne a caccia di marito. La sede del sindacato si trova a Villa dei Ricordi, lasciata vuota da un’anziana zia in viaggio in America: i due cugini la occupano temporaneamente e si danno da fare per aiutare casi più o meno disperati. Come incentivo a migliorarsi decidono di assumere una segretaria brutta che li redarguisca, un vero “spauracchio” dalla tentazione del matrimonio: peccato che la determinata Penelope, mandata dall’agenzia, sia tutt’altro che brutta, con quelle adorabili fossette che tanto piacciono a Cyril. L’uomo ormai tentenna, lui ha sì scritto un libro per evitare le donne, ma è anche vero che si innamora facilmente. Inseguendo i personaggi del romanzo nell’Inghilterra di inizio Novecento tra i circoli di Londra, Brighton, il parco di Kennington e il mercato di Bermondsey, può sembrare di essere saliti su una girandola di gags, farcita di buon humour all’inglese: in uno scenario di incomprensioni continue nel rapporto uomo-donna, in cui le donne dimostrano di essere sempre un passo più avanti rispetto alla controparte maschile, ci divertiamo a leggere diverse scene, tra cui quella del concorso di poesia e quella del combattimento di Cyril con il campione di boxe della contea, intrise di ironia. In un mondo in cui vale la regola del “buon partito”, aspettiamoci di ritrovare un “buon libro”, da assaporare in un paio d’ore con il sorriso sulle labbra.
Il Suo romanzo sembra, per certi versi, rappresentare la controparte maschile dell’universo di Jane Austen, ovviamente in forma ironica. Come è nata l’idea? Come ha deciso di svilupparla?
Le idee, almeno per me, nascono per caso. O meglio prestando attenzione alle piccole cose che ci circondano. Abitudine che abbiamo perso perché la nuova tecnologia informatica dirotta i nostri pensieri e la nostra attenzione altrove. L’idea è nata ascoltando dei giovani che parlavano di matrimonio in modo così negativo che mi sono chiesto cosa avrebbero detto, invece, dei giovani di inizio ‘900. Ho deciso allora di creare un evento di partenza come la fuga della sposa alla vigilia del matrimonio, ho immaginato uno sposo maldestro, un cugino arrogante ed una segretaria tuttofare. Il resto lo hanno fatto loro.
Lei, come uomo, preferisce esaltare le gioie degli scapoli o la felicità della vita coniugata?
Credo che la gioia ce la creiamo noi. Da scapoli o da sposati. E’ interessante, invece, capire cosa si intende per gioia. Per Cyril era una donna da amare; per George una donna da usare mentre per Penelope la gioia migliore è fare la cosa giusta. Da sposato o da scapolo non importa.
Mi vuole raccontare in che modo si è attivato per entrare anima e corpo nell’inizio Novecento? Ha fatto qualche viaggio a Londra e dintorni?
Potrei dirle che nella mia vita precedente ho vissuto a Londra. Ma di certo ho avuto modo di conoscerla attraverso i miei viaggi che si sono sviluppati soprattutto nelle periferie dove il contatto con il passato è ancora molto evidente. Basta saperlo cercare.
Camilla Bottin