Intervista a Marco Crivellaro

29 Ottobre 2014

La raccolta di racconti “Le sabbie dell’addio” del veronese Marco Crivellaro si rivela, nei suoi tratti, omogenea nel desiderio di “cantare” le sofferenze di «questa sporca guerra», si presenti essa nelle forme del secondo conflitto mondiale,  della tensione tra marito e moglie, tra padre e figlia o del confronto-scontro di stampo terroristico, secondo un filo conduttore che fa dell’odio il primo motore immobile dell’umanità. Crivellaro si muove con sicurezza tra generi diversi anche se la sua vocazione profonda sembra essere quella drammatica, con “L’amico di Marvin” che in poche pennellate delinea l’assurdità dell’Apartheid: è questa “separatezza” che rende i suoi personaggi eroici, non di certo le loro azioni, quasi banali, è l’esperienza stessa dell’appartenere a una linea di confine tra la presenza e la non presenza che li pone su un piedistallo. Cos’è una categoria, un’etichetta? Il pregiudizio, per quanto irrisorio, colpisce per la forza dell’addio che preme sul diverso: che tu sia russo o tedesco, il Governo o un terrorista, un padre o una figlia sei sempre vittima di incomprensione, il muro di sabbia che circonda gli occhi è impenetrabile. Puoi solo dire “addio” scegliendo da che parte stare. Ma fino in fondo non si sa se sia la scelta giusta, l’ambivalenza è nota, fino alla conclusione.
Intervistiamo l’autore:

Cosa l’ha spinta a cimentarsi in generi letterari così diversi? Lei è un lettore onnivoro?
Sono un lettore onnivoro (classici, thriller, legal-thriller, gialli, avventura, bellici, ecc…), ed è stata questa mia caratteristica a far sì che diventassi un autore che ama scrivere racconti molto diversi tra loro, cambiando spesso genere letterario. Gli unici generi che, sono sicuro, non toccherò mai sono l‘horror, il fantasy e la fantascienza, perché non mi appassionano.

Se non sbaglio, la raccolta di racconti contenuta nel libro “Le sabbie dell’addio e altri racconti” è risultata seconda classificata al Premio Letterario “Iniziativa Editoriale”, promosso dall’Associazione Culturale Internazionale “Il Paese che non c’è” di Bergamo. Mi vuole raccontare l’esperienza fatta?
Sette degli undici racconti che compongono il libro hanno fatto parte della silloge che, l’anno scorso, si è classificata al secondo posto al Premio Letterario da Lei menzionato. All’epoca, avevo una serie di racconti inediti, così decisi di partecipare. Circa dieci giorni prima della premiazione, l’associazione “Il Paese che non c’è” mi scrisse una lettera, dicendomi che ero nella rosa dei finalisti (riservandosi di svelare la classifica durante la manifestazione). Il “conto alla rovescia” dei primi dieci è stato molto emozionante. Quando capii che ero giunto tra i primi tre, non stavo più nella pelle… Una bella esperienza, comunque, aver ottenuto il secondo posto su 100 autori!
“Il Paese che non c’è” è un’associazione culturale internazionale di ottimo livello che, durante l’anno, organizza anche diversi corsi di scrittura creativa. Nella giornata di domenica, sono stato invitato a partecipare alla loro festa per i venticinque anni di attività, dove ho avuto la possibilità di presentare il mio libro, davanti a una sala gremita di spettatori.

Come mai questo titolo, c’è un motivo particolare?
Quando si è dovuto pensare a un titolo per il libro, passai in rassegna tutti i titoli dei racconti, cercando quello che avrebbe potuto rappresentare l’intera opera. Non volevo un titolo esterno. “Le sabbie dell’addio” sembrò a me e al mio editore, quello più adatto.

Camilla Bottin

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