Ferdinando
26 Novembre 2012Logica ed inconsueta, allo stesso tempo, mi appare la decisione di portare in scena Ferdinando di Annibale Ruccello. Logica, perché riconosco in Ruccello un mio autore, un autore sul quale sono tornato più volte, e con spettacoli per me fondamentali e rivelatori. Ma la scelta mi appare anche inconsueta, poiché per me Ferdinando è sempre stato legato allo spettacolo che da ragazzino vidi insieme alla mia amica Fabrizia Ramondino, credo poco dopo la morte di Annibale al Teatro Cilea. Parlo dello spettacolo che ha girato per molti anni i teatri italiani e che si è avvalso della grande interpretazione di Isa Danieli. Il testo mi è sempre apparso molto diverso da tutti gli altri di Annibale: un testo più realistico, storico, dramma con una struttura classica. Qualche mese fa rileggendolo ho avuto una visione, mi si è concretizzato un mio possibile ‘tradimento’: Ferdinando mi è apparso come un grande travestimento, un cerimoniale, fratello dei testi di Jean Genet, penso soprattutto a Le serve e a Il balcone. Un testo terribile per come rappresenta la depravazione, un atto cannibalico non meno estremo di Anna Cappelli, anche se non portato fino in fondo. Un rapporto col religioso pieno di cocenti contraddizioni e rappresentato con cruda violenza, ma sempre con quell’amore struggente che mi pare abbia Annibale verso le ossessioni della sua vita, lo stesso difficile rapporto che poteva avere Umberto Saba quando intitolava un suo libro Atroce paese che amo. Il desiderio per un inafferrabile adolescente, nato da un inconsolabile bisogno d’amore, matura nella mente di personaggi disperati, prigionieri della propria solitudine, esacerbati dall’abitudine. Allora tutto l’aspetto storico mi è apparso una finzione, un teatro della crudeltà mascherato da dramma borghese, in cui anche la lingua, il fantomatico napoletano in cui si sostanzia Donna Clotilde, è esso stesso lingua di scena, lingua di rappresentazione, non meno del tanto ‘schifato’ italiano. Insomma mi pare che con Ferdinando, ancora una volta e ancora di più, Ruccello faccia fuori i generi, sessuali e spettacolari, per mettere in scena l’ambiguo e il sortilegio.
Arturo Cirillo
Campagna napoletana, agosto 1870: il Regno delle Due Sicilie è caduto e la baronessa borbonica Donna Clotilde (Sabrina Scuccimarra) nella sua villa vesuviana si è “ammalata” di disprezzo per il re sabaudo e per l’Italia piccolo-borghese nata dalla recente unificazione. A fare da infermiera all’ipocondriaca nobildonna è Gesualda (Monica Piseddu), cugina povera e inacidita dal nubilato, ma segreta amante di Don Catellino (Arturo Cirillo), prete corrotto e vizioso. I giorni passano tutti uguali, tra pasticche, decotti, rancori e bugie. A sconvolgere lo stagnante equilibrio domestico è l’arrivo di un sedicenne dalla bellezza efebica che, rimasto orfano, viene mandato a vivere da Donna Clotilde, di cui risulta essere un lontano nipote. Sarà lui a gettare lo scompiglio nella casa, riaccendendo passioni sopite e smascherando vecchi delitti. Ma chi è davvero Ferdinando?