Report – Sangue di drago

Report – Sangue di drago

A cogliere i primi segnali d’inverno di un’esistenza spesa ad amare troppo, una spiaggia deserta madrilena. Con lei, un uomo, l’ennesimo, fatto di carne ma non d’odore, il lascito ultimo di una stagione estiva che ormai volge al termine. Questo bisogno di stare con gli occhi chiusi e tornare indietro a un passato fatto di piccole crudeltà, tra gli urli del maiale sgozzato e le code di coniglio conservate a discapito dello sguardo liquido, fatto di sangue, dell’attore, ucciso dopo un momento di passione, conduce improvvisamente la protagonista Aspasia a tornare in patria, a Venezia, la madre puttana a cui non sa rifiutarsi, nemmeno di domenica. Bruno, disteso sul letto senza vita, uomo colmo di silenzi la cui parola si esterna solo sulla scena, riempie le notti insonni, con il ricordo e la consapevolezza che non si uccide per odio, ma per troppo amore. Dopo il gesto tragico e la fuga in Portogallo alla ricerca simbolica dell’ultimo paio di scarpe rosse, l’anima, confusa in mille relazioni, in mille rapporti che si accavallano uno sopra l’altro, volti, mani, corpi vivi, cerca di non disfarsi con la bellezza. Un chitarrista, incontro occasionale, le assegna il colore del sangue, della vita, quella stessa che Aspasia rifiuta nella carne della sua carne, i figli che non vuole avere e che non avrà mai, lascito pesante di un uomo impossibile da abbandonare del tutto. E’ un libro di impressioni, che esprime la sua fisicità nel contatto continuo dei corpi, nel suo alternare passato e presente, nei lunghi tramonti, nelle folate di vento, nelle tragiche figure dello sfondo. Vivi e morti cambiano le loro proporzioni, ma il numero resta uguale, gli spiriti sono tra noi, nella malinconia del giorno dei morti, un novembre che irrompe nella protagonista con una rinnovata voglia di essere dentro alle cose. Un nome bellissimo, Aspasia, che ricorre nel libro tra suggestioni artistiche e letterarie, un Dalì, un Flaubert, accenni a quella Parigi ideale fatta di emozioni sospirate: quest’opera è un tributo alla vita come arte, al sapersi riconoscere tra mille volti, suoni ed odori. Non è femminismo e nemmeno identità di genere, ma un richiamo a quella forza che, con il sangue di drago, possiamo acquisire. Soltanto chiudendo gli occhi e trattenendo i conati di vomito all’idea di bere invece sangue di maiale, potremo attraversare terre lontane come il Portogallo con un mezzo di trasporto inconsueto, l’introspezione.
«La forza delle parole diventa un modo per ritrovarsi e ripartire – spiega Saveria Chemotti, docente di Letteratura italiana contemporanea – la cadenza di questa scrittura si concretizza in una sessualità oscura, che non lascia trasparire nulla al di fuori». Virginia Baradel, storica e critica d’arte, parlando delle «pennellate velocissime» di cui è impregnato il romanzo, si meraviglia di quella «visività costante» che accompagna la parola e le dà la forza di immagine e che permette di capire le passioni artistiche della protagonista/autrice. Casette bianche, natura, scogli, alberi, cielo, nuvole vivono di una loro «forza dirompente» alla luce dello sguardo: è l’emozione che dà misura alle cose, un «modo formidabile di vedere e di vedersi». Il romanzo si apre con una frequenza cromatica fredda, su tonalità blu e si chiude su Venezia con un quadro spazialista, rilievi grigi che si staccano dallo sfondo.
«In mezzo agli azzurri e ai grigi divampa il rosso – afferma Virginia Baradel – si alza la temperatura cromatica». La presentazione del libro, avvenuta giovedì 14 marzo in mezzo all’arte e alla musica, in Galleria Cavour, con la presenza di due bravissimi musicisti (Athos Bassissi alla fisarmonica e Ester Giarretta alla voce), ha dato ai presenti una luce nuova. L’autrice Carla Menaldo era con noi e la sua sicurezza ha voluto regalarci una lunga passeggiata sulla Senna, con i sentimenti e i colori di sottofondo.

Camilla Bottin

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