Il sosia zero, poesie dell’inconscio

7 Gennaio 2016 By Elena Bottin

Il libro di versi “Il sosia zero” (Edizioni La Gru) scritto da Nicolas Alejandro Cunial, vice presidente della LIPS (Lega Italiana Poetry Slam), ci presenta fin dall’inizio il corpo come una macchina perfetta in cui l’amore, ingranaggio inceppato, costringe l’io a una vera e propria elaborazione del lutto per la spirale di errori che hanno portato i due amanti ad allontanarsi. In questa fase, detta «precipitare», l’Autore realizza come il dolore della perdita sia insostenibile per quelle «giacenze di sentimenti» che dimorano nell’anima e appesantiscono il cuore. La «ruggine del motore» e il «ventre disabitato» ci mostrano un corpo prossimo alla fine in cui ossa, sangue e viscere si mescolano nel desiderio della donna che ora è «frantumi di tempo». Il rimpianto dei momenti passati insieme, rivissuti attraverso una serie di flashback dolorosi ma necessari, viene espressa con delle immagini bellissime: riviverli è come riascoltare la musica scritta prima di accorgersi che il violino è bruciato, è diventare «cavia e cenere» di colpe ardenti che da funerale si trasformano in festa, è mettere la parola fine a tutto ciò che può finire, è spegnere il motore definitivamente. La «fame della carne» e la morte spirituale ogni volta che la donna non torna sono una testimonianza di come ormai le chiavi dell’ingranaggio siano in mano della ragazza, il corpo non riesce a tornare a vivere e restano solo le «ossa dei sentimenti». In questo tribunale in cui l’Autore interroga il proprio io, viene fuori una considerazione giusta: «vorrei mentirti e dirti che ti ho dimenticato» ma non è vero, resta solo la scelta del mezzo con cui andarsene («sparo, corda, taglio, lancio o deraglio»). Per poter uscire da questa situazione incresciosa è necessario «reclutare l’anima e insegnarle a sorridere alla luce» ma per recuperare il proprio sé bisogna compiere un vero e proprio viaggio negli «inferi più veri», cercarsi e uccidersi. Solo con la morte dei sosia, in posa come «finti demoni», l’anima potrà tornare ad innalzarsi libera dal peso del rimpianto: non c’è paura ma solo voglia di conoscenza e scoperta. Alla fine ne resterà uno solo, l’unico, l’intero, il «sosia zero». Lo stile di Cunial, simile a un rap per la cadenza ritmata dei versi e per la sua immediatezza, colpisce nel basso ventre, stringe le viscere per le immagini quasi violente che ci mette davanti agli occhi: l’amore non è una cosa per deboli di cuore, questo è certo. La poesia si presenta come un montaggio cinematografico, l’Autore sa quando interrompersi e passare alla prossima scena attraverso espedienti che guidano la lettura a suo piacere. Capita spesso di trovare didascalie, tagli di scena o dissolvenze, Cunial come un buon regista ci presenta un prodotto veramente ben confezionato, da leggere tutto d’un fiato e poi da rileggere ancora, con meditazione, in maniera tale da assaporare tutti gli ingranaggi che fanno funzionare in maniera egregia la macchina “poesia”.

Camilla Bottin