Madagascar: une belle vie, une belle mort
19 Dicembre 2012Davanti all’obiettivo di Massimo Branca il Madagascar ha svelato tanto la sua quotidianità bucolica quanto i suoi aspetti peculiari più curiosi come il particolare rapporto che il suo popolo intrattiene con la morte, considerata come una semplice tappa dello sviluppo umano, simile al passaggio tra due differenti età della vita. Questa particolare concezione della morte è in Madagascar molto più che simbolica: gli antenati continuano a provare bisogni fisici ed emozioni: la fame, la sete, la curiosità. La noia. Nel rituale “Famadihana” ogni tre anni le famiglie si riuniscono attorno alle tombe, riesumano gli antenati e per tre giorni e tre notti ballano con loro, bevono insieme rum artigianale, mangiano a sazietà, parlano con loro e li aggiornano su quanto è successo al villaggio dopo la loro dipartita. I corpi vengono fatti danzare sopra le teste degli invitati al ritmo giocoso e incalzante della banda, disordinata ed estatica colonna sonora di un rituale che concentra simbolicamente tutto il caos della vita in poche ore, così che ai morti possa bastare il ricordo per qualche anno ancora. Almeno fino al prossimo Famadihana.