Archeologia e poesia 1861-1911 (Carducci, Pascoli e D’Annunzio)
4 Aprile 2012Il libro, scritto da uno storico dell’antichità che non di rado ha amato fare incursioni nella storia della letteratura italiana cogliendone interessanti prospettive di lettura, nasce da una serie di riflessioni sull’incidenza propagandistica dell’antico nella pubblicistica dei primi cinquant’anni dell’Italia unita.
La conquistata unità nazionale dopo l’epopea risorgimentale, Roma capitale, la ricerca di un posto e di un ruolo tra le grandi potenze, le avventure coloniali sono temi ampiamente decantati dalla propaganda politica, che non di rado si è avvalsa della voce dei poeti. E per i poeti è l’antichità, soprattutto quella romana imperiale, a costituire lo strumento delle celebrazioni.
L’indagine cui si dà spazio in questo volume da un lato privilegia il monumento archeologico, dall’altro scandaglia la voce dei vati nazionali con l’intento di evidenziare come il monito del monumento archeologico venga filtrato dalla pagina dei poeti. L’autore afferma che il libro intende offrire all’archeologo una silloge di curiosità antiquarie, e all’italianista un’antologia delle massime brutture germinate dalla più impegnata produzione poetica del primo cinquantennio dell’Italia unita. Curiosità antiquarie e brutture che un’archeologa e un italianista cercheranno via via di focalizzare, in un dialogo con l’Autore.