Sior Tita paron al Teatro Verdi
3 Dicembre 2013Il Sior Tita paron di Lorenzo Maragoni è una sfilata, non una scalata al potere, con i suoi colori sgargianti: a ritmo di hip hop, con un’ottima coordinazione mano piede cervello entrano in scena i nuovi “paroni”. Sono vestiti diversamente da quando ci sono stati presentati all’inizio, con una gamma che ricorda il fascio dell’arcobaleno, ma la sontuosità della loro condizione non riesce a impedire che il “regno” muoia, come canta Samuele Bersani, perché «oggi non si ha più bisogno di un sovrano su di me». Le due parti della commedia – anche se forse è più un testo tragicomico – sono imperniate sull’intelligenza di Tita, “velada” del paron morto che lo preferisce a un “neodo” disgraziato: a interpretarlo è un serafico Giacomo Rossetto, uomo di tutti e di nessuno che tra i fili nascosti dalla lettura serena del giornale in realtà manovra la psicologia prevedibile dei suoi ex compagni di servitù. Teresina in minigonna e calze riceve, tra il sipario chiuso, un telegramma: la servetta di casa, ingenua, interpretata da una vivace Anna Tringali, è colei che si barcamena in una vicenda sentimentale con il chauffeur della vicina, lo spavaldo Riccardo Maschi. Sentimenti di certo contrastanti animano invece il rapporto tra l’ortolan Nane interpretato da un trafelato Davide Dolores e il cocio Serafin, un beone di prima categoria, il buon Andrea Tonin: spunta lo «s-ciopo» in quanto «gavarà strazzà vinti chili de roba». A intervenire, proprio come un deus ex machina, è Sior Isepo, che rivela a Tita le disposizioni del paron: «L’è sta verto el testamento… El ve ga lassà tuto a vu» «A mi?». La coga Carlotta, interpretata da una precisa Laura Serena, non vuole aver più a che fare con Tita, «mi con i paron mai!» ma il cameriere è legato, per vincolo testamentario, al mantenimento dei dipendenti: peccato che abbia già capito come prenderli, fino alla celebrissima battuta finale «E’ lori i paroni ma comando mi». Maragoni ha modernizzato il Sior Tita rendendolo rosa shocking, come l’abbigliamento della Siora Catina (una brava Anna De Franceschi), tutto punta allo sconvolgimento delle categorie comuni: niente di quello che si desidera corrisponde poi alle aspettative e lo stacco, intervallato anche da una passeggiata in passerella, è inevitabilmente segnato anche dal punto di vista coloristico, con le ante degli armadi che si fanno fluo in base alla personalità di ogni occupante. Resta poi Francesco Folena a interpretare con sagacia il giovane servo Stropolo per completare un cast giovanissimo (compreso il regista) in grado di portare la drammaturgia veneta all’esodo della noiosa tradizione, per inserire, con aggiunte efficacissime, brani di moderni autori veneti tra cui Herman Medrano. Con questo Sior Tita gli spettatori son tutti paroni, ricevono un’eredità consistente da portare a casa.
Camilla Bottin