Intervista a Gigi Perinello di ‘Ragioniamo con i piedi’

12 Febbraio 2014

Come è nata l’idea di commercializzare le «scarpe etiche» prodotte dall’azienda Astorflex di Fabio Travenzoli?
In realtà, prima del nostro progetto, non si può parlare di «scarpe etiche»: è un concetto nuovo, ancora incompreso.
Ho speso trentacinque anni della mia vita nel campo della vendita delle materie prime per scarpe e a partire da quindici anni fa ho assistito a una progressiva delocalizzazione del lavoro all’estero, con conseguente risparmio sui materiali utilizzati e un’incredibile perdita di valore. Non si riesce più a vedere la scarpa come un’opportunità stabile di lavoro in quanto fonte di benessere per il piede ma solo come un oggetto in serie da cui ricavare un guadagno economico sempre più avanzato. Non c’è più nessuna cura della qualità, io voglio portare avanti una vendita che preveda l’utilizzo dei migliori materiali possibili a un prezzo accessibile, dando anche spazio all’attività artigianale. Non so se ci sono riuscito ancora – è un percorso ancora in via di definizione – ma finora abbiamo avuto un riscontro positivo da parte di numerose persone che hanno apprezzato il fatto che i nostri prodotti assorbano completamente il sudore, non causino allergie da contatto e soprattutto siano fatti interamente in Italia, senza ipocrisia alcuna.

Come sei entrato in contatto con i Gas (Gruppi di Acquisto Solidale)?
Conosco bene i Gruppi di Acquisto Solidale perchè ne facevo parte anch’io: personalmente ritengo che siano un ottimo sistema per fare economia, la gente assume consapevolezza di quello che compra instaurando una sorta di alleanza con il produttore. Dare un premio a un produttore serio che abbia un’etica significa promuoverlo attraverso acquisti consapevoli.

Cosa intendi quando parli di rapporto diretto tra produttore e consumatore?
Il rapporto diretto si viene a creare quando famiglie o persone singole riunite in un’associazione invitano il produttore a illustrare le modalità in cui avviene la generazione dei suoi prodotti. Sono relazioni che nascono da una volontà di conoscenza che non è disinformazione o mancanza di cultura ma è il desiderio di un’assunzione di responsabilità da parte di entrambi, la trasparenza deve essere il valore fondamentale.
Nel sistema di acquisto normale questa trasparenza non esiste, noi facciamo riferimento al marchio che non informa ma seduce solamente: se realmente sapessimo a quali condizioni lavorative certe scarpe vengono prodotte nei paesi dell’Est molto probabilmente ci rifiuteremmo di comprarle. In realtà lo sfruttamento serve a coprire le spese pubblicitarie e di distribuzione, per cui i costi vengono ammortizzati attraverso il ricatto lavorativo nei confronti di quelli che non sono altro che poveri disperati. Il marchio risplende e copre la sofferenza, grazie alla pubblicità noi vorremmo essere come un certo modello televisivo, provare certe emozioni. E’ difficile resistervi, lo ammetto, ma nella nostra vita ci vuole stabilità, non una moda passeggera.

Lo spaccio ‘Ragioniamo con i piedi’ di Este è stato inaugurato il 13 dicembre e per l’occasione avete tenuto anche un mercatino natalizio temporaneo. Ad affiancarti c’erano altri produttori locali?
Questo luogo è nato innanzitutto come spazio collettivo, non è solo il magazzino in cui si vendono le scarpe della mia azienda ma è anche un ritrovo per i Gruppi d’Acquisto Solidale: qui dovrà svilupparsi l’economia del futuro perchè le istituzioni e la politica non hanno nessuna capacità di capire che la contemporaneità è sempre legata a un sistena antico, privo di migliorie. D’ora in poi cercheremo di mantenere questo appuntamento con i mercatini una volta al mese.

Le vostre scarpe rispettano esigenze ergonomiche e ortopediche?
Bisogna a questo punto sfatare un mito, le mie scarpe sono scarpe industriali: non sono fatte una alla volta ma secondo la logica industriale in cui l’uomo coadiuva la macchina mantenendo lo sprito artigianale dell’operazione. Se noi non usassimo macchine per cucire e pressare le suole non saremmo in grado di proporre determinati prezzi, per sopravvivere dobbiamo avere in magazzino più di un paio di scarpe al giorno, è necessaria quindi una certa quantità produttiva per abbassare i costi. I materiali che usiamo sono ottimi, per cui, anche se non sono pensati per ogni specifico cliente, sono in grado di soddisfare ampiamente le aspettative.

Il commercio che praticate risponde ai valori della decrescita, vuoi spiegarci cosa intendi con questo termine?
Spesso il termine decrescita viene utilizzato in modo equivoco, noi non vogliamo ridurre la produzione ma semplicemente riorganizzarla in funzione dei bisogni della gente che in termini di domanda sono molto inferiori all’offerta. Siamo in un’epoca che fa della sovrapproduzione il suo biglietto da visita per cui si rende necessaria in seguito una strategia di vendita in grado di abbassare in prezzi: si procede così allo sfruttamento del lavoro e all’utilizzo di materiali scadenti. La moda risponde alla temporalità e alla necessità di continuo cambiamento, noi cerchiamo di produrre un prodotto che sia stabile e duraturo nel tempo. Alle vecchie logiche di produzione dobbiamo sostituire nuove logiche di produzione per far sì che anche il lavoro in Italia diventi stabile. Questo le grandi produzioni non sono in grado di farlo.

Camilla Bottin