Il teatro di Diego Fabbri
21 Luglio 2014Il teatro dell’«utile» e del «vero» di Diego Fabbri raccontato nel saggio di Pierluigi Moressa (Persiani 2011) si rifà a sentimenti «aspri» e forti che non hanno nulla di selvaggio ma che ricalcano una dimensione “familiare” di «ricerca della verità»: la città, Forlì, evocata sullo sfondo, parte di una Romagna metafora dell’essere uomo, necessita di un nuovo «ordine morale» fondato sul perdono. La ricerca attiva del bene presente nella vena del drammaturgo scomparso negli anni Ottanta diventa anche una scuola di pensiero: firmatario tra gli altri, nel 1943, del “Manifesto per il teatro del popolo”, Fabbri ritiene che «la rappresentazione scenica debba essere utile per l’educazione di tutti». Eppure non si deve pensare a un teatro di parola asfissiante, oppressivo come un dovere imposto, un Super – io collettivo visto come una struttura repressiva: la vena ironica, onnipresente con la sua leggerezza, rende i drammi capaci di generare una lieve angoscia senza incidere nell’armonia della visione, attivando una sorta di maturazione postuma che si verifica senza essere invasiva. Senza dire di più delle opere che scoprirete nel corso della lettura, tra cui “Il Seduttore” e “Il Processo a Gesù”, consiglio questo saggio dalla prosa semplice e lineare per una lettura di approfondimento di quella che è stata una figura di grande spicco nel mondo del teatro e del cinema ma che ora viene poco ricordata.
Lei e Diego Fabbri avete in comune una città, Forlì: all’inizio del libro Lei ci fornisce anche una breve cornice storico-culturale della città, come ha agito per recuperare le fonti necessarie alla stesura del saggio?
Ho scritto una guida storico artistica della città di Forlì, prima tappa di un viaggio in Romagna: “L’Aquila e il Capricorno” (prima edizione 2007, seconda 2011). In essa traccio un profilo storico ed emotivo della mia città natale. Diego Fabbri in essa si delinea come una presenza costante, ma lontana. Dapprima attivo direttamente nella vita cittadina; poi presente nella rappresentazione di un mondo romagnolo rivissuto attraverso i confini della memoria. Il mio è un percorso storico e affettivo. Ho voluto descrivere il profilo di Forlì attraverso un’evocazione concreta, che non trascurasse figure destinate a vivere nella memoria non solo di chi le ha conosciute, ma di chi anche ha saputo amarle nelle lontananze della vita.
Quando ha avuto occasione di vedere rappresentate opere di Diego Fabbri in teatro? Ci vuole raccontare le Sue impressioni a riguardo?
Ho visto Diego Fabbri in tv. Sceneggiatore dei Fratelli Karamazov e del commissario Maigret (creatura di Simenon). Oltre a questo, ho visto in televisione il “Processo a Gesù“. Le mie impressioni sono quelle di una forte presenza evocativa. Si tratta di uno sceneggiatore e di un autore cui fu caro il teatro di parola, non solo retaggio del tempo andato, ma esempio da offrire alla drammaturgia contemporanea, che nel teatro di azione annacqua il senso del testo in una sorta di improvvisazione costante e di mancata fissazione di un canovaccio da rendere fruibile ai lettori.
Ha mai conosciuto il Maestro di persona?
Non l’ho conosciuto, perché all’epoca ero troppo giovane e avulso dai percorsi letterari. Ricordo l’annuncio del suo Commedione tratto dal Belli al teatro di Cesena e ricordo il senso di smarrimento della città alle sue esequie. Col mio saggio ho inteso offrire un omaggio alla sua figura, ormai ignorata dalla cultura contemporanea.
Camilla Bottin