Filosofia del Fantastico di Cesare Catà

19 Febbraio 2014

Secondo il racconto fantastico di René Daumal discendere dei «canaloni che finivano con degli strapiombi» conduceva le gambe a «tremare dal ginocchio alla caviglia» e i denti a «stringersi»: bersaglio delle ingiurie diventa così la Montagna, quel luogo che si configura come un’«analogia tra finito e infinito», specchio di un cammino che si potrebbe definire «esistenziale». Questa «ricerca del sé» che coinvolge, in mezzo agli antri della Grotta della Sibilla nei Monti della Marca tra Medioevo e Rinascimento, centinaia di cavalieri, alla stregua di Antoine de La Sale e di Guerrino detto il Meschino, si configura come un’«iniziazione guerriera» da identificarsi idealmente con il Graal, inteso come «la via per l’eternità». Alcuni mitemi, tra cui l’incontro di un eroe (il Meschino) con una dea (la fata Sibilla, divisa tra una connotazione positiva e una negativa), fondano il proprio significato filosofico su una «comune radice cavalleresca»: incredibile è la somiglianza tra le leggende gemelle del Tannhäuser, il mito celtico del guerriero feniano Oisìn e l’episodio narrato nel poema di Andrea da Barberino. Questa «somma eterogenea di sostrati culturali» diventa quindi il punto di incontro tra elementi cristiani (alla cui base si trova l’ideologia del «miles Christi») ed elementi eterodossi, riassunti magistralmente nella figura della Sibilla, al contempo «ieratica custode di salvifici segreti sapienziali» da ricercarsi attraverso una «quête» e «ammaliatrice maledetta» in grado di condurre, con la sua essenza «eretica ed erotica» alla dannazione. «Porta dell’Aldilà» al pari del Tir na nÓg celtico, in cui l’eroe si trattiene e da cui a un certo punto decide di evadere, in via della sua situazione peccaminosa, per accedere a una nuova «redenzione», la Grotta della Sibilla accomuna la tradizione folklorica dei «folletti» irlandesi, i cosiddetti “Leprechauns” ai marchigiani ‘Mazzamurelli’. L’«espressione mitopoietica del reale» che trascende il principio del rasoio di Occam concede alla fantasia un primato assoluto: il «rumore degli zoccoli» può far pensare all’arrivo delle fate dei Monti delle Marche o alle incursioni del Piccolo Popolo. Il valore «archetipico» che queste creature assumono si ricollega alle «dinamiche spirituali più profonde dell’essere umano», è in gioco l’«essenza delle cose», la Fata stessa si configura come «mediatrice tra i mondi celeste e terrestre, sovrannaturale e naturale» e può essere artefice di un Changeling, un rapimento.
In virtù di una rappresentazione simile a quella dei fauni, la Fata riceve una condanna, la sua figura è associata alle danze demoniche, alle ‘carole’ e risiede in «oscure grotte», per quanto sia poi possibile individuare in essa aspetti melusinici e morganici. Nel prendere in esame il vasto bagaglio leggendario dei Monti Sibillini e comparandolo con la tradizione fiabesca irlandese e l’universo tolkieniano, Cesare Catà ci conduce verso il senso filosofico che soggiace alle tradizioni popolari e alla cultura fantasy. In questo senso, l’incontro “fatale” tra il cavaliere e una donna magica in grado di portarlo alla «perdizione e a una visione sapienziale della realtà» si ripropone con il personaggio della regina Galadriel de ‘Il Signore degli Anelli’ di Tolkien. Nella fondazione di una «nuova mitologia» Tolkien attinge a un bagaglio di leggende a lui preesistenti e nella descrizione di quella che sembra la «Belle Dame sans merci» cantata a suo tempo nella poesia di Keats si sofferma sul suo attributo fondamentale, lo specchio, in grado di mostrare «il futuribile». Custode di un’antica saggezza perduta, Galadriel, dotata di una «bellezza insostenibile», così come la Sibilla marchigiana, è in grado di «divinare il futuro e di scorgere l’abisso dell’interiorità» dannando chiunque la incontri. Cesare Catà con questo meraviglioso saggio riesce ad aprire una porta magica su quel mondo ‘invisibile agli occhi’ che costituisce la parte più profonda e più misteriosa della psiche umana. Una lettura veramente piacevole.

Camilla Bottin

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