
Arancia Meccanica – Il commento
6 Novembre 2014Contrapposta all’eccitazione emozionale del film di Kubrick, in cui i ritmi si manifestano in forma frenetica, quasi ossessiva, da «cinebrivido», come direbbe Alex, troviamo nello spettacolo teatrale diretto da Gabriele Russo una versione più intima, quasi onirica: sembra che il protagonista, il drugo Alex, interpretato dal magistrale Daniele Russo, non si sia mai mosso dal Korova Milk Bar e che, in preda agli effetti del Latte Più, il latte corretto, si sia cimentato in un viaggio “surreale” in cui la sua stessa Volontà è stata sottoposta a costrizioni da una sorta di Super-Ego che nel caso esaminato ha preso le forme della dottoressa Bramon e del Governo. Le scene, allestite dal visionario Roberto Crea, sanno ben rendere il senso della “distopia”: in un futuro che prende avvio da forme geometriche, stilizzate e da contrasti forti di colore, i costumi di Chiara Aversano diventano quasi parte integrante dell’arte, ma in una forma distorta, quasi “shockante” di emulazione di un passato dadaistico fuori dai canoni, senza età. Lo stesso Ludwig Van appare, nelle musiche di Morgan, in forma straniante, accompagnato da intervalli musicali duri, a tratti dark, quasi “nazisti”: i tre drughi si muovono sul palcoscenico in netta contrapposizione con gli “innocenti” piccoli che sanno essere a casa, a passo felpato, da cacciatori. Se è vero che la “cultura” migliora le persone, il protagonista, incredibilmente colto per essere un sedicenne, è preso dall’estasi – anche se ridotta al momento “stringato” della camera da letto – dandosi interamente alla Musica: peccato che la potenza e la carica emotiva della stessa si trasformino nell’efficace scena “al ralenti” in cui Alex e i suoi compari (due e non tre come nel film) picchiano e stuprano. E’ il ritmo della malvagità quello messo in scena e appoggiato su forme stilizzate: l’incubo che alterna “sacche” pendule di materiale energetizzante a quadrature di pavimenti di case borghesi scivola su un’illuminazione ad effetto che funge da “scatola nera” alle visioni di Alex.
La tensione dei primi momenti si stabilizza nel trattamento “Ludovico”: finalmente il dramma trova una sua dimensione morale, con la successiva incapacità del protagonista di dissociarsi dal “pensiero unico” che gli è stato inculcato. Quello di Gabriele Russo è un teatro individuale che ha poco di Kubrick ma che ha saputo centrare lo spirito originario del testo di Burgess, anche se in versione “soft”.
Camilla Bottin