A tu per tu con Alberto Schön
13 Maggio 2014Il suo modo di raccontare che coincide con l’osservazione del vero mescolata a una combinazione di parole è molto colloquiale: quanto la sua formazione psicologica – Lei pratica la professione in quanto membro della Società Psicoanalitica Italiana e Internazionale – L’ha portata a immaginarsi l’Altro da sè nell’intessere un discorso? Si aspetta mai una risposta o una reazione esterna a quello che scrive?
Scrivere contiene vari livelli di comunicazione. Credo che si scriva sia per sé che per qualcun altro. Che è poi il lettore. Certo, anche Sé può essere qualcun altro. Credo che il più delle volte si scriva, consapevoli o no, in attesa di essere letti e di qualche risposta, osservazione, correzione e possibilmente qualche apprezzamento. In ciascuno resta qualcosa del bimbo che correva con il foglio in mano “Mamma, guarda che disegno ho fatto!”
Lei si è ispirato a ‘Il sistema periodico’ di Primo Levi nel dare una struttura al libro ‘Rotatorie. Dall’irritazione alla narrazione’: parti del corpo diventano protagoniste di ogni singolo capitoletto. Come Le è venuta l’idea di associare un qualcosa di transitorio come la carne a riflessioni di natura universale?
E’ la visione ironica che mi spinge. Ci piacerebbe essere universali, ma viviamo meglio se accettiamo i normali limiti. Uno dei nostri maestri di ironia, Marcello Marchesi, faceva dire al prete che aveva voglia di avere moglie: “Domine, non sum ligneus.” E poi, come ho ricordato in epigrafe, le corde degli strumenti ad arco erano, e ancora possono essere, fatte con l‘intestino di animali.
Ci sono nel libro ‘Rotatorie’ piccoli estratti verbali in dialetto. Lei è padovano, che tipo di rapporto ha instaurato negli anni con la Sua città di appartenenza?
I miei non erano padovani, ma i compagni di studio, le infermiere, i pazienti e vari amici mi hanno convinto che il dialetto è vivo, poetico, efficace. Diversi padovani parlano dialetto, anche se meno di un tempo e in forma non stretta. Posso scegliere tra l’italiano e il dialetto. Conforme.
Mi piace la mia città e anche diversi abitanti. Quando ci fu il terremoto sono corso a vedere come stava la torre del municipio.
Le offerte culturali sono spesso di buona qualità. Certo se tutti leggessero un libro per ogni spriz che bevono … Ma forse pretendo troppo. Mi piacerebbe che i padroni fossero sempre con museruola e al guinzaglio dei loro cani. Però non cambierei città.
Rotatorie. Dall’irritazione alla narrazione
A una lettura poco attenta il libro ‘Rotatorie. Dall’irritazione alla narrazione’ (Cleup 2014) potrebbe apparire uno «sparlatorio» secondo la definizione stessa dell’autore, un luogo deputato alla conversazione che in realtà è maldicenza, osservazione diretta dei difetti degli altri come «se si trattasse di importanti notizie». In realtà Alberto Schön nel presentarci l’incredibile galleria di personaggi che hanno transitoriamente attraversato la sua vita con forze di gravità maggiori o minori (sì, in materia di «attrazioni» «alcuni si appesantiscono, altri diventano troppo leggeri ma non per questo non imparano a volare») lo fa con un incredibile – se mi permettete l’anglicismo – wit, un’arguzia che nell’analisi si trasforma in abbozzi di metafora pungenti da reinterpretare con un sorriso sulle labbra. Come la maestra che nel racconto ‘Ingiustizie, come dire pedagogia’ ha «una matita con una punta rossa per gli sbagli e una blu per quelli grandi» ma non sa ricompensare gli alunni che fanno il giusto con un’altra matita ancora, il noto psicanalista padovano sottolinea di qua e di là racconti efficaci di casi umani senza mai premiare nessuno, senza esprimere commenti: il suo è un modo di narrare che passa per una veloce «irritazione» sensoriale, grazie al rimando alle varie parti del corpo, fino ad approdare a quadretti racchiusi in se stessi, garbati, autoincludenti. Non c’è un seguito, gli intermezzi poetici come la «olmostrocca» spezzano qua e là la tensione di qualche racconto che si fa più impegnato, foriero di temi forti, come la storia del 2008 che lascia il lettore un po’ agitato. «Cavè quell’ostia di càmio» urla il dottore a una squadra di muratori, la testimonianza che qualche volta essere diretti serve: bisogna sovrastare il mormorio di sottofondo della città, immaginata come un dedalo di rotatorie, presenza viva, quotidiana. Pensare a progetti di pace è da melanconici, l’obiettivo di «fare assieme in armonia, di trovare l’accordo, di ascoltarci a vicenda», così come in musica, è possibile, veritiero? Alberto Schön non ce lo dice, lui guarda e basta, è il nostro occhio di lettori.
Camilla Bottin