Giuseppe Coccato a Villa Pisani
2 Febbraio 2016«Io sono soprattutto un pittore informale – spiega Coccato – per più di quindici anni mi sono dedicato alla realizzazione di opere astratte. Questa tendenza artistica, unita alla mia passione per la filosofia orientale, voleva essere un’occasione per approfondire la vita, cogliere la sua essenza. Sinceramente a me non interessa dipingere cose belle e simpatiche, voglio lasciare sulla tela qualcosa che sia pregnante e significativo e spinga il cervello a fermarsi un attimo ad osservare incantato. Solo grazie all’intervento del professor Valandro, che mi è stato presentato da un amico comune, sono tornato ad apprezzare il figurativo. È stata una sorta di riscoperta delle origini, mi ha coinvolto nei suoi progetti editoriali e abbiamo iniziato un lungo sodalizio artistico. Dal 2000 ho realizzato circa 600 tavole figurative su Monselice e dintorni che poi sono state pubblicate nei vari saggi del professore. Lui mi chiama e io gli preparo una scelta di bozzetti da inserire nei suoi libri. È una persona molto esigente, ma il risultato è meraviglioso: le illustrazioni danno luce a pagine fitte di storia locale e ne accompagnano la comprensione con un risvolto artistico». Tra i libri pubblicati da Valandro con i disegni di Coccato si ricordano in particolare “Quando la notte oscura le stelle” dedicata a Rino Ferrari e “Gli ebrei e Monselice – Tessere ricostruire di un mosaico incompleto”. Coccato, che ha trascorso alcuni mesi in India insieme alla sua famiglia, ha vissuto a Monselice fino al 2013 in quanto custode al Kennedy per poi trasferirsi nel suo paese natale, Piove di Sacco. Ora è bidello alla scuola elementare di Sant’Angelo di Piove e i bimbi, a vedere i suoi disegni, restano incantati. Tigri, cavalli, bestie di ogni genere: il suo album da disegno, ricco di schizzi in penna nera, è un mondo in cui il figurativo predomina e ammalia. «Non mi interessa particolarmente organizzare mostre – spiega Coccato – è un mondo che non mi piace. Adesso è impossibile entrare nel mercato, a Padova sono sparite tutte le gallerie. Una volta esisteva il passaggio dell’artista dal locale al nazionale, c’erano più opportunità. Dipingo non perché sia un piacere farlo – richiede fatica e concentrazione – ma perché ritengo che il mio pennello possa illustrare la “notte oscura” della storia».
Camilla Bottin