Corpo in affitto
7 Maggio 2014Dopo la presentazione al Teatro Verdi in occasione della finale del Premio Off 2013 del Teatro Stabile del Veneto, dopo le repliche di Mestre, Vicenza, Treviso, lo spettacolo “Corpo in affitto” con Evarossella Biolo torna a Padova. Un’opera dai toni forti, nata dall’idea di Vincenzo Ercole e diretta dall’attore e regista Marco Artusi. Un’opera di grande attualità, anche a seguito dei fatti di cronaca degli ultimi mesi che hanno visto protagoniste le “baby squillo” del Quartiere Parioli di Roma, di Milano e anche di Padova. Ma non si parla solo di baby prostituzione in “Corpo in affitto”; l’intento iniziale è quello di mettere a nudo tutta la drammaticità, il dolore emotivo e fisico e la lotta della figura femminile interpretata dall’attrice Evarossella Biolo. Silvia è una donna sola in una stanza che si racconta e si svela agli spettatori. Silvia è una ragazza che da anni affitta il suo corpo per piacere e per soldi e che, arrivata ad un punto di non ritorno, accetta di farsi tagliare a pezzi da uno strano vecchio per scoprire cosa c’è dentro di lei. Silvia è lo specchio stesso della società che l’ha creata e che la giudica. “Il personaggio di Silvia, rivela Vincenzo Ercole, è nato 5 anni fa quando lessi un articolo su alcune ragazze universitarie che si prostituivano per pagare gli studi e su alcune ragazzine che si facevano fotografare nude a scuola per qualche euro. Lì scattò qualcosa in me; non mi colpì tanto il tema in questione, quanto la mia reazione: cosa ne pensavo? Cosa ne pensano gli altri? Cosa ne pensa la società”. “Nasce così l’idea del racconto che non è altro che una sfida, quasi un gioco, fatta di attimi, di ricostruzioni dalla quale la protagonista forse non riuscirà ad uscire vincitrice. E noi, come spettatori di una web-cam, siamo interpellati ma senza possibilità di rispondere”.
“In effetti, spiega il regista Marco Artusi, la storia che ci viene raccontata ci mette in difficoltà, perché investe dei lati di noi che ci portano a emettere un giudizio, ma allo stesso tempo la vitalità di Silvia, la sua genialità, il modo elementare di strutturare i pensieri, il suo essere sperduta, concorre a far tacere in noi il senso critico nei confronti di una ragazza che usa il corpo per ottenere riconoscimento nella vita. Ed è proprio quest’ultimo punto che Silvia ci chiede di spiegarle: quale sia il suo ruolo in questa società. Forse la domanda contiene un aspetto che non vogliamo vedere: se c’è la possibilità per le Silvie di esistere, probabilmente, è perché la nostra società ha bisogno che esistano. Forse non è Silvia che deve porsi la domanda “Dove sono sbagliata?”, ma noi. E forse, come per Silvia, saremo condannati a porcela senza trovare una risposta”.