Limena
8 Dicembre 2013VILLA PACCHIEROTTI (loc. Tavello)
Via Tavello, 8 – fraz. Tavello
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Info: visita su appuntamento
Web: www.comune.limena.pd.it
Immersa nel verde della campagna sorge la villa Pacchierotti-De Benedetti . A poca distanza dal Brenta che un tempo la lambiva più da vicino, e difesa dalle piene da un argine anulare, questa villa fu costruita sull’area di una antica fortificazione medioevale della quale rimaneva traccia nella vicina barchessa. Percorsa la stretta carrareccia per qualche centinaio di metri, la strada raggiunge la sommità di un piccolo argine dove è posto un cancello. La villa appare improvvisa, immersa nel verde della campagna. Due statue seicentesche in pietra d’Istria segnano l’ingresso del parco, una volta vastissimo e lussureggiante di piante, nel quale un viale, un tempo fiancheggiato da statue ed in asse con la villa conduceva ad essa.
Già da lontano la costruzione con il suo nitido, alto volume, mosso appena dal rilievo del pronao, colpisce per la monumentalità dell’insieme e, quando con l’avvicinarsi l’occhio può analizzare meglio le forme, l’osservatore viene preso dalla bellezza delle proporzioni e dalla finezza dei particolari. La facciata di questa villa si differenzia notevolmente dalle rimanenti. In essa si manifesta la tendenza ascensionale seicentesca e veneziana. Gli influssi stilistici veneziani riscontrati nella composizione degli alzati si ritrovano ancora più decisi nella tipica distribuzione interna della pianta. Dal porticato d’ingresso si passa all’altro che attraversa l’edificio da una fronte all’altra e disobbliga le stanze laterali. Nei piani superiori la distribuzione è analoga ed i saloni sono illuminati alle due testate da trifore. Una bella scala collega i piani con rampe coperte da volte a botte eccettuata l’ultima, di tipo inconsueto, data dall’intersezione di una volta conica e di un soffitto piano. Nell’atrio e nel salone al primo piano eleganti portali binati immettono nelle rampe della scala. Essi denotano una evidente derivazione longheniana ed hanno una particolarità raramente riscontrabile nella architettura dell’epoca, cioè il movimento della cornice superiore in corrispondenza dei modiglioni di chiave. Le fitte travature in vista dei solai sono decorate da motivi pittorici settecenteschi. Non è nota con esattezza l’epoca della costruzione anche se non si deve escludere una serie di rifacimenti successivi. Una prima notizia risale al 1635: Alessandro Marioni dichiara di possedere una casa domenicale con orto e brolo “nel comun di Parolo con Tavello”. Annesso alla villa si trova un oratorio più volte richiamato nelle visite pastorali. Sull’altare vi sono tre statue in pietra tenera raffiguranti la Madonna con ai lati i santi Domenico e Gaetano da Thiene. Un tempo esistevano anche due dipinti di Jacopo da Ponte rimasti in proprietà ai Marcello
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Alle spalle dell’oratorio si scorgono le eleganti arcate di una maestosa barchessa. Un’altra costruzione gemella, meno evidente perché nascosta da un folto giardino, sorge più avanti. È ciò che rimane dell’imponente complesso rappresentato dalla villa Fini e dalle sue adiacenze. La famiglia Fini, seguendo l’esempio di molte altre famiglie veneziane, partecipa alla corsa nell’investimento dei capitali mercantili verso gli acquisti immobiliari in terraferma. Nel 1662 acquista dai canonici lateranensi di S.Giovanni di Verdara vari appezzamenti di terreno con case e altri beni. Non sono molti i documenti, specialmente cartografici, che ci consentano di stabilire con precisione l’epoca di costruzione della villa. L’unico disegno a nostra disposizione è datato 1722, 60 anni dopo l’acquisto dei Fini. La villa appare in tutta la sua grandiosità e imponenza. Si tratta di una costruzione formata da un corpo centrale costituito dalla villa vera e propria a tre piani con un’ampia scalinata e ai lati le barchesse gemelle collegate, con due anditi semicircolari, alle due entrate laterali. Non è noto in che maniera la villa fu abbattuta, ciò comunque dovette avvenire alla fine del ‘700. In quel periodo le vicende economiche della famiglia Fini erano in declino e nel 1813 la vedova di Girolamo Fini vendette gran parte delle sue proprietà (compresa la barchessa di sinistra) al padovano Francesco Morsari. Questi morì a Padova il 20 FEBBRAIO 1850 lasciando quasi tutti i suoi beni in eredità alla Casa di Ricovero di Padova. Nel 1982 la barchessa di sinistra fu acquistata dal comune di Limena e completamente restaurata oggi è diventata la sede del municipio.
La facciata dell’oratorio, molto sobria, è rivestita con pietra di Costozza. Al centro un portale ad arco spezzato, sostenuto da due mensole decorate con due piccole teste. Sopra il portale una finestra termale ripetuta anche nelle due pareti laterali. Da ambedue i lati del portale salgono le lesene binate sovrastate da un capitello composito. Lo spazio tra le due lesene è occupato da due nicchie con due statue raffiguranti la fede, quella di sinistra, e la carità, quella di destra. Nella parte superiore il timpano, con al centro una croce trifogliata, è coronato da tre pinnacoli. L’interno del tempietto, con pavimento in terrazzo veneziano e volta a crocera, è attualmente completamente spoglio. Un coro in legno, con sedile sostenuto da mensole intagliate a guisa di figure antropomorfe, è appoggiato alle pareti laterali. Probabilmente in origine era completato da uno schienale in legno ora mancante. Un grande altare in marmo bianco troneggia nell’abside con tre grandi statue.
Al centro la Madonna del Rosario con ai lati i santi Gaetano da Thiene e Antonio da Padova. Nel dossale dell’altare un bassorilievo di pregevole fattura rappresenta una scena natalizia. Sopra l’altare una grande teca conserva le reliquie di alcuni santi. Le visite pastorali parlano anche di un altare dedicato a S. Eurosia del quale però non rimane traccia. Esiste documentazione di altri ornamenti e quadri ormai dispersi. Dall’abside si accede a due piccoli vani: quello di sinistra costituiva la sacrestia, quello di destra era riservato alla famiglia Fini ed era collegato direttamente alla villa mediante una porta che si apriva nel retro della chiesa.
I COLMELLONI
Si tratta di un’opera idraulica di grande importanza per la regolazione del sistema fluviale Brenta-Brentella-Bacchiglione. Questo manufatto serve ancora oggi per regolare la quantità d’acqua che, attraverso il Brentella, il Brenta scarica nel Bacchiglione.
Il primo colmellone fu costruito nel 1370 e ce lo ricorda la lapide ancora infissa alla base del colmellone stesso. In quell’epoca, alcuni anni dopo lo scavo del Brentella, i padovani si resero conto che, senza un sistema di regolazione, nei casi di piena la quantità di acqua che dal Brenta arrivava nel Bacchiglione e quindi a Padova poteva risultare eccessiva e causare l’allagamento di alcune zone della città. Fu così che Francesco il Vecchio da Carrara fece costruire all’inizio del Brentella i così detti colmelloni. In origine il sistema di regolazione era costituito da tre grandi pilastri in pietra (due sorgevano sulle sponde e uno al centro) sui quali poggiava una rosta formata da pali e rinforzata da pietrame. A protezione di questo importante manufatto fu costruito un castello sulla riva destra del Brentella in una forma tale da essere facilmente difeso. Questo castello venne definitivamente distrutto nel 1509 dall’esercito di Massimiliano durante la guerra combattuta contro Venezia dalla Lega di Cambrai. Con la distruzione del castello furono danneggiati anche i colmelloni e così con il passare degli anni i danni causati dalle guerre e le devastazioni delle acque resero inservibili rosta e colmelloni. Vi fu un lungo periodo di abbandono in cui le acque, non trovando nessun ostacolo, si spargevano per le campagne con grave danno per la popolazione e l’agricoltura. La Serenissima, così sensibile ai problemi che l’instabilità dei fiumi recava alla laguna, si interessò con occhio di riguardo al controllo del Brentella e il problema dei colmelloni divenne uno dei più impegnativi tanto che Venezia lo affrontò con costante interesse nei secoli successivi. Dopo una serie di studi e progetti solo nel 1775 i colmelloni furono ricostruiti in pietra e a ricordo di questo intervento, accanto alla lapide carrarese, la Serenissima volle un’altra iscrizione.