Kurt Elling

10 Novembre 2015

Tra una diva jazz e l’altra, ogni tanto sulla Terra arriva anche una voce maschile carismatica. Kurt Elling, chicagoano classe ’67, con la sua immagine e gli atteggiamenti sfacciatamente hip è piombato come un ufo nel felpato mondo dello swing odierno. Risultato, anche per via delle doti vocali: un successo planetario, sancito dalle ripetute vittorie nei referendum sia di DownBeat (per quattordici anni consecutivi a partire dal 2000!) che di Jazz Times come migliore voce maschile. Dopo un lungo sodalizio con la Blue Note, nel 2007 Elling è approdato alla Concord, continuando a sfornare dischi in cui l’irresistibile fascino canoro si somma a programmi musicali composti con bizzarra maestria. Una specie di nuovo corso nella carriera del cantante arrivò nel 2011, sotto l’egida del producer Don Was (specializzato in Bob Dylan e Rolling Stones), con l’album The Gate. Un’opera beffarda che poneva Elling davanti all’inevitabile bivio creato dal successo: a destra si prosegue lungo la strada del jazz, a sinistra si imbocca la rock avenue. Allora da che parte prendere? Elling divaricò le gambe, facendo lunghi passi in entrambe le direzioni. E sorpresa: come cantante pop dimostrò un’autorevolezza espressiva pari alle sue doti di jazz performer. Il circuito virtuoso tra il richiamo pop del repertorio e la sofisticata levatura jazzistica di Elling fu confermato dal successivo 1619 Broadway – The Brill Building Project (2012), col suo affondo nella canzone statunitense tra anni Cinquanta e Sessanta. Ora Elling torna a colpire in questa stessa direzione: un nuovo repertorio assemblato con la massima varietà ma saldamente coerente nella visione interpretativa. È Passion World: canzoni raccolte in giro per il globo, da Cuba all’Islanda, dalla Scozia alla Francia, tutte accomunate dall’intensità emotiva dei testi. Amori, passioni romantiche e strapazzi di cuore in un esotico viaggio attorno al mondo, a dimostrazione dell’universalità dei più accesi sentimenti.