Mon oncle d’Amerique
30 Gennaio 2014Nel film s’intrecciano le vicende di tre protagonisti. Jean Le Gall (50 anni) proviene da una famiglia borghese, è sposato, ha due figli, è dirigente alla televisione francese di Stato, ha ambizioni saggistiche (una ricerca sul mito del sole), viene estromesso dall’ufficio, convive qualche tempo con Janine, è afflitto da coliche renali. Janine Garnier (trentenne) viene da una famiglia operaia e comunista, fugge di casa per fare l’attrice, poi passa a fare la stilista in una fabbrica tessile, il che la mette in contatto con Renè, lotta per il lavoro e per salvare il proprio legame con Jean. Renè Ragueneau (40 anni) cattolico praticante come la famiglia di contadini da cui proviene, sposato, due figli anche lui, lascia i campi e diviene dirigente in un’industria tessile. Tenace, metodico, conservatore, viene soppiantato da un giovane ambizioso e aperto alle nuove tecnologie. Irritato, deluso, scivolando sempre più in basso nella scala produttiva, afflitto da ulcera, Renè tenta il suicidio. Per quanto si agitino e si sforzino di capire, i tre non riescono a darsi conto dei propri comportamenti: sono infatti dei personaggi-cavie. A spiegarcelo interviene frequentemente in voce fuori campo o in immagine lo stesso Henri Laborit, alle cui idee si è rifatto Resnais per il suo film. Laborit, medico-chirurgo e poi ricercatore biologo con presunzioni di filosofo, spiega i comportamenti umani press’a poco così: non diversamente dagli animali, l’uomo è determinato dalla struttura biologica e ambientale e dagli apprendimenti dei primi tre anni: o si domina o si è dominati; uniche reazioni vitali la lotta o la fuga; nell’impossibilità si ricorre all’inibizione, che crea il blocco-angoscia, da cui derivano ulcera, cancro, follia, morte. Tutto ciò è reso filmicamente, oltre che dalle situazioni, dal continuo riferimento ai comportamenti dei topi e da frequenti inserti dei film più familiari ai protagonisti.